TRAMONTI DI SOTTO - Palcoda e Stalle di Cor

DATI
Lunghezza: 15.4 Km - Km sforzo: 29.1 Kmsf - Salita: 1370 m - Discesa: 1370 m - Dislivello totale: 2740 m - Altitudine minima: 421 m slm - Altitudine massima: 1251 m slm

Difficoltà:
Cammino: Alta
Accessibilità
Disabili (carrozzina): Non accessibile
Bimbi (passeggino): Non accessibile
Famiglie: Sconsigliato
Anziani: Sconsigliato
Cani: Sconsigliato
Io peso
kg
e ho
Questo percorso corrisponde a...
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ore
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Kcal
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Vita in più
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Relazione a cura di: Ciro Antonio Francescutto
Relazione aggiornata a: Febbraio 2024
CARATTERISTICHE - L'anello è lungo ed impegnativo: presenta un breve passaggio delicato per chi lo compie in senso orario prima di scendere a forcella Cesilar ed un tratto privo di ogni riferimento tra i ruderi di malga Rossa e malga Vallone, per cui si rende necessario procedere con satellitare. Assolutamente sconsigliabile d'estate per il sicuro inerbamento delle tracce, il periodo migliore è sicuramente quello invernale, tardo autunnale o inizio primaverile. Ci sono molteplici occasioni per incontrare acqua lungo il percorso. Rispetto al nostro senso di percorrenza qui descritto, a posteriori abbiamo valutato che il modo migliore di procedere sarebbe stato quello in senso antiorario.  

DESCRIZIONE - Da Tramonti di Sotto ci avviciniamo al punto di partenza imboccando via Cima Riva e continuando lungo la strada asfaltata che si dirige e risale la valle del torrente Tarcenò fino a quando la strada si interrompe a poco più di 2km dal paese nei pressi di una sbarra, dove parcheggiamo per avviarci sull'itinerario (435mslm).
Continuamo la strada per un centinaio di metri in discesa fino all'attraversamento del torrente Tarcenò prima su guado (ove vediamo anche il sentiero da cui rienteremo in discesa da Tamar), poi su un ponte oltre il quale inizia l'ampio sentiero CAI 831A che sale giungendo a quota 661mslm ove un cartello indica il punto panoramico da cui ammirare il leone di pietra: qui avremo percorso 1,9km. Poco oltre arriviamo ad un bivio ove a destra il sentiero scende verso Tamar mentre noi proseguiamo dritti andando a sinistra e valicando una selletta ove in lontananza compare inconfondibile l'abitato di Palcoda. 
Continuiamo scendendo il comodo sentiero per altri 550 metri fino a giungere ad un secondo bivio che adestra conduce alla cascata del Pissulat, mentre noi continuiamo a sinustra lungo la traccia che transita a fianco dei ruderi di Palcoda di Sotto (634mslm).
Altri 500 metri e poco prima di entrare a Palcoda un segnavia indica sulla sinistra la fornace di calce che merita una breve deviazione (si trova ad un centinaio di metri dalla traccia principale).
Rientrati sui nostri passi ancdiamo a raggiungere l'ormai vicino paese di Palcoda: ci accoglie un prato con sulla destra un bivacco ed a sinistra la bella chiesa restaurata e sullo sfondo le case abbandonate dal 1923, che nonostante il passare di oltre un secolo e la perdita dei tetti, rimangono ancora discretamente intatte e danno l'idea della solida bellezza e cura con cui erano state erette. 
Attraversiamo la strada principale del paese fantasma e dal margine superiore riprendiamo la percorrenza del sentiero che sale a forcella Nagardaia (1039mslm): da Palcoda alla forcella è una salita su sottobosco di faggio di 400 metri per 1,6km.
Dalla forcella andiamo a destra seguendo un tratto di cresta su sottobosco che ci conduce a cima Lareseit (1144mlsm), oltre la quale inzia il tratto più panoramico in quanto al linea di cresta si libera dagli alberi e continua per piacevoli saliscendi fino a raggiungere una sorta di anticima della Lareseit, una quarantina di metri più in alto. Da qui continuiamo per altri 200 comodi metri fino a giungere al tratto che giustamente sulla mappa Tabacco è segnato come puntinato: si tratta di un breve passaggio di un centinaio di metri assai pendenti che -soprattutto se fatti in discesa- vanno percorsi con lentezza ed attenzione e che ci conducono a forcella Cesilar (1131mslm).
Da qui il tratto che conduce alla piana di malga Rossa non presenta difficoltà, se non per il fatto di non essere molto bollinato, di risultare poco evidente sul terreno ed infine di presentare una concomitante bollinatura bianco/rossa/bianca, che ci ha tratti in inganno e costretti ad una fastidiosa circumnavigazione.
Una volta giunti ai ruderi di malga Rossa (1226mslm) inizia il tratto più ostico: a parte l'attacco del sentiero che sembra evidente, subito dopo la traccia scompare e le foglie della faggeta complicano le cose. In assenza della una traccia satellitare che abbiamo seguito camminando comunque con una certa fatica, non ce l'avremmo fatta. Suddividendo in due il tragitto che unisce malga Rossa a malga Vallone, la parte peggiore è proprio la prima metà, mentre per la seconda metà la traccia ricompare abbastanza evidente. Grossolanemente si tratta di compiere un traverso in discesa pressapoco rettilineo fino ai ruderi di malga Vallone (1072mslm).
Anche se la traccia sul terreno ricompare e la traccia satellitare, oltre malga Vallone ci sono tratti di maggiore discesa in cui siamo comunque riusciti ad ingrembanarci per brevi tratti, fino a giungere nei pressi degli imponenti ruderi di Stalle di Cor (828mslm), precedute da un tratto con muri a secco in pietra. 
Da qui raggiuungimao per passaggio prativo Cuel di Cor (807mslm), da cui inizia una discesa via via più pendente, poco evidente ed inerbata che ci conduce infine sul greto del torrente Chiarzò: da Cuel di Cor al torrente sono 1,3km ad una pendenza che via via aumenta scendendo e mediamente è del - 25%. Attraversiamo e risaliamo per 150 metri il torrente (CAI 832A) fino ad individuare sulla sinistra il sentiero che con una breve ma intensa salita ci porta all'abitato di Tamar dove si trova anche il ricovero Varnerin (642mslm).
Da qui possiamo scegliere se rientare per la strada sterrata oppure se scende lungo il piacevole sentiero CAI 832 che ci conduce al punto da cui eravamo partiti.   
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SULLE TRACCE DELLA STORIA

In Val Tramontina si concuse l'esperienza partigiana dell'estate-autunno 1944 della Repubblica della Carnia, che aveva costituito in Carnia ed Alto Friuli la più grande zona libera nell'Italia occupata.

Il 5 dicembre 1944 alle Stalle di Cor persero la vita il partigiano Eugenio Candon “Sergio”, commissario politico del Gruppo Brigate Garibaldi Sud eD Edo Del Colle “Jena”, che qui erano saliti a visionare lo stato di un deposito di armi e viveri, ma erano stati sorpresi da un’imboscata dei repubblichini della X Mas. Secondo altre fonti "Sergio" morì non alle stalle nell'eccidio di Palcoda, mentre il secondo partigiano ucciso a Stalle di Cor era Angelo Cecon.
Nella notte del 9 dicembre nello scontro a fuoco tra le forze repubblichine della X Mas morirono Giannino Bosi "Battisti" comandante del Gruppo Brigate Garibaldi Sud e la sua compagna Jole de Cillia "Paola".
ll giorno successivo 10 dicembre, 10 dei 21 partigiani quivi catturati vennero fucilati presso il cimitero di Tramonti di Sotto: una lapide all'interno del cimitero ne ricorda il sacrificio

GLI EVENTI DI PALCODA - Tra l’estate e l’autunno 1943 era nata la Repubblica Partigiana della Carnia, ma il proclama Alexander che invitava i partigiani a sospendere la guerriglia aveva da un lato demoralizzato i combattenti, dall'altro innescato un rafforzamento della lotta antipartigiana da parte dei nazisti. A ottobre 1944 la Carnia veniva infatti perduta e conquistata dai nazisti tedeschi con l’ausilio delle truppe fasciste della Milizia di Difesa Territoriale e cosacche con l’operazione Ataman. La Resistenza si ridusse quindi alla Val Tramontina e alla Val d’Arzino.
Palcoda allora era disabitato da poco più di vent’anni  e nascosto nella montagna, in mezzo ai boschi, lontano dalle vie più battute era un rifugio perfetto. Per pochi giorni Palcoda riprese vita, difesa e controllata dai partigiani, abitata dalle loro vite precarie, erranti, coraggiose. Incalzati dai rastrellamenti repubblichini tutto il comando della Garibaldi Sud che si trovava a Campone discuteva sulla scelta dei varchi possibili per sfuggire all’accerchiamento. 
Battisti non poteva camminare a causa di un trauma da caduta. Fu deciso allora che con Paola ed alcuni compagni si sarebbe rifugiato a Palcoda, già incendiato dai tedeschi di passaggio. Qui i partigiani avevano allestito un deposito di viveri sotto il pavimento di alcune case. A Pàlcoda, Battisti ordinò ai suoi partigiani e a Paola di andarsene, di mettersi al sicuro a quote più alte; ma alcuni giovani e la ragazza vollero restare. Mentre i partigiani si sistemavano tra i ruderi delle case, Paola e Battisti si rifugiarono più in alto, in un anfratto tra le rocce.
I partigiani però non sapevano che i tedeschi avevano lasciato a controllare la zona un contingente di fascisti delle Decima MAS, il battaglione “Valanga”, che da un’altura stava sorvegliando ogni loro movimento. E nella notte del 9 dicembre 1943 circondarono Pàlcoda.
Nella sparatoria che seguì, alcuni partigiani furono catturati, altri riuscirono a fuggire. Battisti scese faticosamente, aiutato da Paola, per soccorrere i suoi uomini, e fu visto zoppicante che sparava e sparava, e quindi cadere a terra. Fu vista Paola afferrare l’arma del compagno e sparare a sua volta, e poi il silenzio.

GLI ANTEFATTI DI PALCODA - Il 27 novembre 1943 i reparti tedeschi erano avanzati sulla Val Tramontina mentre all’alba del 29 novembre entrò in azione anche il Battaglione Guastatori Alpini “Valanga” un reparto aggregato alla X^ MAS, e comandato dal capitano Manlio Morelli, un ufficiale reduce della Campagna di Russia dove era stato decorato con la medaglia d’argento. Il rastrellamento era articolato su tre direttrici: una a fondovalle e le altre due sui versanti della vallata. Il reparto a fondovalle fu bloccato in località Ponte Racli dalle batterie osovane mentre i due reparti a monte procedevano speditamente verso nord. Superato il blocco a Ponte Racli, il 30 novembre il Battaglione Valanga entrò a Tramonti di Sotto occupando così il paese.
Nei giorni successivi i reparti proseguirono il rastrellamento percorrendo i sentieri che collegavano le numerosissime borgate della Tramontina. Ricerca perlopiù infruttuosa, anche se vennero utilizzati alcuni cani lupo che, con i loro istruttori tedeschi, erano stati assegnati al Battaglione Valanga. 
Il 7 dicembre si ebbe uno scontro che vide coinvolto un reparto del Battaglione Valanga in località Frasseneit ed un consistente gruppo di partigiani; non essendo citato questo episodio in nessuno dei memoriali osovani si presume che questo gruppo di partigiani appartenesse ai reparti garibaldini. 
Nello scontro a fuoco che seguì morì un guastatore del Valanga e altri due rimasero feriti: questo episodio probabilmente creò i presupposti per quello che accadde nelle giornate successive.
Il giorno 9 dicembre il reparto fascista si diresse verso l’abitato di Palcoda dove erano rifugiati una cinquantina di partigiani e, fra essi, Gianni Bosi “Battisti” comandante del gruppo sud delle Brigate Garibaldi, e la sua compagna Iole De Cillia, “Paola”. 
Nel violento scontro a fuoco, morirono numerosi partigiani, fra i quali anche Battisti e Paola, mentre altri 21 furono catturati e portati a Tramonti di Sotto.

DOPO PALCODA - Qui le testimonianze ci dicono che i partigiani furono portati nella macelleria del paese e li interrogati e torturati: le grida strazianti furono sentite dagli abitanti di Tramonti rinchiusi nelle loro case. 
Non ci sono certezze su cosa spinse il capitano Morelli (o i suoi ufficiali sottoposti) a decidere per la fucilazione dei dieci partigiani. I resoconti del reparto fascista parlano della costituzione di una “Corte Marziale che procedette all’interrogatorio dei prigionieri catturati nella zona di Tramonti: alcuni riconosciuti responsabili di specifici reati, vennero fucilati” versione inverosimile e di copertura, visto che il reparto della Decima Mas si trovava fino a qualche giorno prima ben lontano dalla Val Tramontina e i dieci partigiani non potevano certo essere da loro conosciuti e quindi non si comprende quali reati specifici poteva attribuire loro la “Corte Marziale”. 
Molto più probabilmente la decisione fu presa sotto la spinta dalla frenesia di vendetta e ritorsione che il reparto provava a seguito del guastatore morto nello scontro di Frasseneit.
I dieci partigiani furono portati sul muro del cimitero di Tramonti di Sotto e lì fucilati nella serata del 10 dicembre 1943.
Tre di essi appartenevano alla 4^ Brigata Osoppo: Salvatore Villani “Cossu”, di Santa Teresa di Gallura, brigadiere dei Carabinieri, Cosimo Moccia “Aldo” di Manduria,carabiniere, e Ulderico Rondini “Romano” di Roma. Particolarmente toccante la figura di Cosimo Moccia, al quale venne attribuita la medaglia d’argento alla memoria, e la cui motivazione dice testualmente: “Catturato insieme ad altri compagni da un reparto della X Mas, sottoposto a stringenti interrogatori allo scopo di strappargli notizie sull’organizzazione delle formazioni clandestine, mantenne fermo ed eroico contegno. 
Escluso dalla fucilazione che il comandante nazifascista aveva ordinato, fiero dei suoi nobili ideali, si rivolgeva al nemico chiedendo che la sorte dei compagni fosse anche la sua.” La motivazione, che trova origine nelle testimonianze, ci consegna quindi la figura di un ragazzo di neppure 23 anni che volle condividere la tragica sorte dei suoi amici. E proprio tale comportamento eroico ha spinto più volte la famiglia Moccia e di recente anche la comunità di Manduria a chiedere l’attribuzione della massima riconoscenza per questo giovane ragazzo del Sud venuto a morire sulle montagne del Friuli.
In loro ricordo fu dedicata la piccola cappella edificata all'ingresso del paese di Tramonti di Sotto sull'area della Colonia alpina.
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I PROTAGONISTI
 
EUGENIO CANDON "SERGIO" - Eugenio era originario di Valeriano da dove emigrava in Francia per lavora alla periferia di Parigi come macellaio: qui entra nel Partito Comunista Francese emergendo come leader, ma nel 1939 a seguito dell’invasione nazista il Partito viene messo fuorilegge ed egli a 18 anni viene messo in carcere fino al 1942, quando viene consegnato al governo fascista e trasferito prima al carcere di Udine, quindi alle isole Tremiti, dove a seguito della caduta di Mussolini (15 luglio 1943) riesce a liberarsi e tornare ad agosto a Valeriano, dove a Davour la Mont organizza assieme ad altri l’esperienza resistenziale.
Nel marzo 1944 sale sul Ciaurlec assieme a 3 battaglioni, quindi diviene commissario politico del Gruppo Brigate Garibaldi Sud, con sede a Campone.

GIANNINO BOSI “BATTISTI”  - Nasce a Piacenza nel 1920. Fin da ragazzo non ha paura di manifestare apertamente il dissenso, studia al liceo quindi si trasferisce a Milano per frequentare la facoltà di economia e commercio. 
Nell’agosto 1942 è costretto ad interrompere gli studi e la vita civile per sostenere la guerra. Viene assegnato al Reggimento di fanteria “Brigata Re” a Cividale del Friuli: il primo settembre 1943 giunge come tenente al confine orientale ove il popolo jugoslavo si era nel frattempo organizzato in un vero e proprio esercito di Liberazione.
L’8 settembre tra i reparti italiani esplode il caos: reparti tedeschi intimano la resa dei reparti italiani, alcuni presìdi ed unità italiane rifiutano la resa ma indicazioni chiare sul
che fare non arrivano finché il colonnello a capo della caserma decide di aderire alla linea collaborazionista. Giannino prende due mitra, caricatori, qualche bomba a mano, un po’ di cibo ed esce dalla caserma in uniforme determinato a stabilire un contatto coi partigiani jugoslavi, di cui aveva solo sentito parlare. Uscito dal centro di Cividale lascia la carrabile per infilarsi nella boscaglia. Spara qualche colpo per attirare l’attenzione e non passa molto tempo che ottiene il risultato voluto: una squadra di jugoslavi lo raggiunge. 
Appena spiegate le sue intenzioni viene immediatamente condotto al distaccamento “Garibaldi”, primo reparto della Resistenza italiana costituito dai comunisti italiani ben prima dell’8 settembre. 
Dopo un interrogatorio per misurare le sue intenzioni ed un mitra ceduto agli jugoslavi come “dazio”, Giannino Bosi diventa “Battisti”.
Nel giro di quindici giorni diventa comandante di compagnia e poi del battaglione “Pisacane”, costituitosi in ottobre a seguito del grande afflusso di compagni e renitenti alla leva. 
È sempre in prima fila negli assalti e nelle operazioni che va pianificando, guadagnandosi la fiducia da parte dei partigiani che lo seguono. 
Verso la fine di ottobre i nazifascisti scatenano una prima massiccia offensiva nella zona di Cormons, Gorizia e Caporetto: la Brigata Garibaldi “Friuli”, la prima brigata della Resistenza italiana ancora male armata e con serie difficoltà di approvvigionamento, viene quasi annichilita. 
Con l’arrivo dell’inverno i reparti partigiani sul confine orientale vengono quasi sciolti, la maggior parte dei combattenti torna a casa. 
Una parte, tra cui Battisti, rimane operativa in zona, altri si spostano sulla destra Tagliamento, sul monte Ciaurlec, per rinforzare i ranghi della nascente guerriglia delle Prealpi Friulane.
Con la primavera del ’44 i reparti partigiani aumentano le loro dimensioni, si ricostituisce la Brigata Garibaldi “Friuli” con una forza di sette battaglioni, due sul confine orientale e cinque tra le Prealpi Friulane e la Carnia.
Hanno bisogno di una direzione esperta e fidata. Battisti lascia quindi il comando del suo battaglione sul Collio per trasferirsi a Campone, dietro al monte Ciaurlec, dove viene stabilito il comando della Brigata.
Gli viene ora richiesto un ruolo di coordinamento e direzione della guerriglia che ha assunto dimensioni impensate.
Diventa comandante della neocostituita Brigata Garibaldi “Tagliamento” poi, con l’aumento degli effettivi, del gruppo Brigate Garibaldi “Sud”. 
Tutto questo insieme a Sergio, che lo seguirà come commissario politico.
Campone diventa la cornice della loro fraterna amicizia così come dell’incontro con Paola, attivissima nei Gruppi di Difesa della Donna e nella grande macchina della stampa clandestina partigiana. Tra Battisti e Paola nasce un intenso amore.
È proprio nell’estate del 1944 che prende vita la Zona Libera della Carnia, la più vasta e la più politicamente avanzata tra tutte le Zone Libere sorte nel centro-nord Italia sulla spinta di una grande offensiva partigiana. 
Tutti pensano che non ci sarà un altro inverno di fame, freddo e sofferenza: l’asse è in rotta ovunque e i territori liberati devono servire come basi per la spallata finale. 
Ciò che si realizzò in Carnia e nelle Prealpi Friulane fu qualcosa di molto più grande: la Zona Libera diventa una vera e propria “Repubblica partigiana” con libere elezioni e, per la prima volta, il voto alle donne capofamiglia. Un’esperienza costituente ed anticipatrice unica nel quadro della Resistenza italiana.
Il morale alle stelle, l’esperienza e le armi accumulate, la retroguardia coperta da un territorio liberato permettono a Battisti di predisporre, pianificare e mettere a segno decine di sortite e sabotaggi ai danni di presìdi e colonne nemiche dalla pedemontana fino in aperta pianura.
Si susseguono le visite ai reparti, l’amministrazione della giustizia partigiana, la redazione del bollettino della Brigata, i corsi per comandanti e per il maneggio delle armi.
Ma l’onda travolgente dell’offensiva ribelle ben presto si scontra con la decisione degli Stati Uniti di sospendere l’avanzata alleata in Italia: arriva il proclama Alexander, il fronte viene congelato sulla linea Gotica e ai partigiani viene indicato di attendere la primavera del ’45.
Questa scelta viene vissuta da tutti con sgomento, per alcuni è una vera e propria pugnalata alle spalle. 
La decisione degli alleati permette infatti ai nazifascisti di richiamare mezzi e uomini impegnati sul fronte della linea gotica e avviare rastrellamenti ed offensive verso le forze partigiane.
In Friuli si concentrano numerosi reparti compresi i cosacchi collaborazionisti: Wehrmacht e SS non possono permettere l’esistenza di una Repubblica partigiana nel mezzo della via di fuga. L’urto è da subito soverchiante. Uno ad uno cadono in mano nemica i territori liberati, le perdite sono enormi. 
La Val Tramontina è l’ultimo baluardo della Zona Libera a resistere.
Battisti non si defila ma resta sino all’ultimo ad organizzare lo sganciamento di tutti i combattenti. A seguito di una brutta caduta zoppica, si sente un peso e forse ha già capito quello che lo aspetta.
Braccato dall’avanzata del nemico insieme alle ultime squadre sfuggite ai rastrellamenti, si rifugia a Palcoda. In quei giorni perde il suo fraterno amico e commissario politico Sergio in un’imboscata.
Dà l’ordine a tutti di andarsene ma Paola resta con lui insieme a pochi altri. 
La notte del 9 dicembre i bengala accendono il cielo, i fascisti della Decima Mas gli sono addosso. Sarà l’ultima battaglia dei poco più che ventenni Battisti e Paola. 

JOLE DE CILLIA “PAOLA” - Jole De Cillia nasce ad Ampezzo nel 1921 quando il padre e la madre non erano ancora sposati. Allora le madri nubili non erano ben viste a causa della stringente morale cattolica dell’epoca e così i suoi genitori ben presto “rimediano” e si sposano. Sono tempi difficili e come molte altre persone anche loro lasciano il Paese per sopravvivere ma con la fortuna di poter restare uniti. Suo padre ha in mano un buon mestiere, il falegname, che gli permette non solo di portare con sé moglie e figlia ma anche, col tempo, di allargare la famiglia e di mantenerla: nei 16 anni di permanenza in Francia nascono Maria, Rina, Vincenzo, Giovanna e Alberto.
Nel 1940 la dichiarazione di guerra di Mussolini a Francia e Inghilterra pone fine alla vita che Jole e famiglia si erano costruiti. Rientrano a malincuore in Italia e si stabiliscono a Mereto di Tomba, il piccolo paese da cui proveniva il padre. Jole mette a frutto gli studi per infermiera che aveva svolto in Francia e trova subito lavoro presso l’ospedale di Udine al reparto Forlanini che si occupa dei malati di tubercolosi.
Sarà proprio questo nuovo impiego l’inizio di una doppia svolta: da una parte l’indipendenza economica e dall’altra l’incontro con Fidalma Garosi, anche lei infermiera, con cui condividerà la scelta più importante della sua vita...
La sua nuova amica è infatti una sovversiva che già a partire dal marzo del ’43 ha contribuito attivamente alla lotta clandestina sottraendo medicinali, garze e materiale vario per consegnarli ai compagni del primo reparto partigiano friulano formatosi prima dell’8 settembre.
Arriva l’estate del 1943, il consenso per il fascismo è sempre più in crisi a causa della guerra e della miseria diffusa.
Il 25 luglio Mussolini viene deposto e l’euforia generale che si manifesta per le strade e nelle piazze pervade anche il reparto dove lavorano Jole e Fidalma...
La sera successiva tra le malate del Forlanini è una gran festa e Fidalma, di turno quella sera, lascia che si scatenino e le incalza: si stracciano le foto del duce e del re per poi
scendere a ballare e cantare nel cortile.
Jole entra così in contatto con le idee antifasciste dell’amica, che le incarna con coraggio e un po’ di temerarietà. 
Verso i primi di ottobre 1943 i compagni avvisano Fidalma che i tedeschi stanno cercando delle infermiere sospettate di antifascismo e di collaborare coi partigiani. Consapevole di quanto si fosse esposta in quegli ultimi mesi decide di entrare anche lei in clandestinità per evitare un eventuale arresto e perché in fondo non vedeva l’ora di andare all’avventura...
Jole la segue convinta. Vanno in montagna per aggregarsi ad un distaccamento di partigiani a Canebola, a due passi dalla Slovenia.
Sono tra le prime donne ad entrare in una formazione partigiana. Dopo alcuni giorni in cui vengono trattate con diffidenza, la loro scelta viene “certificata” dai compagni che già le conoscevano. Fidalma e Jole diventano Gianna e Paola. Non torneranno più indietro nemmeno di fronte alla severa disapprovazione delle loro famiglie. 
La meglio gioventù ha spesso espresso così la sua ribellione: sia contro il sistema di potere fascista, sia rivendicando la propria indipendenza ed autodeterminazione.
In ottobre, dopo essersi conquistate la stessa “dignità” combattente degli uomini, Paola e Gianna affrontano insieme agli altri il primo devastante rastrellamento nazifascista e riescono a salvarsi la vita.
Dopo la smobilitazione invernale dei reparti le due “infermiere del Forlanini” tornano per un periodo in pianura per seguire percorsi militanti diversi: Paola si impegna nella redazione
e distribuzione della stampa clandestina, Gianna nella produzione e consegna di bombe e nei sabotaggi.
Nel maggio del 1944 tornano in montagna ma questa volta nelle Prealpi Friulane. 
I reparti stanno crescendo di numero, c’è bisogno di tutto, bisogna organizzare la sanità clandestina e l’approvvigionamento di materiali e cibo.
Servono compagne fidate e di provata operatività. 
Paola e Gianna seguono lezioni di maneggio delle armi e sono le uniche donne a partecipare al corso per commissario politico.
Quando arriva la circolare del Partito Comunista che “ordina” la costituzione dei Gruppi di Difesa della Donna entrambe la accolgono con fastidio... 
Non gradiscono per nulla il metodo, ossia il fatto che una decisione simile sia stata presa senza un’ampia consultazione delle compagne, anche se comprendono perfettamente che tale organizzazione sarà fondamentale, non solo per sostenere la lotta armata, ma soprattutto per gettare le fondamenta sul futuro delle donne nell’Italia liberata.
Paola, pur continuando col suo lavoro nella stampa clandestina, diventa una delle coordinatrici dei comitati di zona dei Gruppi di Difesa della Donna. 
Con Gianna predispone vari ospedaletti clandestini ed una vera e propria sartoria a Campone che lavorerà a pieno regime per tutto il periodo della Repubblica partigiana della Carnia. 
Un centinaio di donne, suddivise in tre turni, produrranno fazzoletti rossi, berretti, giubbe, calzoni, camicie, calze confezionando una media di venti divise complete al giorno.
È proprio a Campone, dove nel frattempo si è trasferito il comando della Brigata Garibaldi Sud, che Paola ritrova Giannino Bosi “Battisti”, già conosciuto come “docente” nelle ore di maneggio delle armi. Nasce tra i due una storia d’amore.
Sono i giorni più belli della sua giovane vita: la costituzione della Zona Libera restituisce ai partigiani ed alle partigiane libertà di circolazione e notti serene per riposare mentre l’estate e le acque cristalline del Chiarzò trasformano quella località in un paradiso circondato dalla barbarie.
La disapprovazione dei genitori è soltanto una eco lontana sovrastata dalla gioia ribelle: per l’amore, per la consapevolezza di stare dalla parte giusta della storia, per la vittoria che sembra alle porte, per l’indipendenza piena già conquistata.
Con l’autunno ’44 cominciano i terribili rastrellamenti dei nazifascisti facilitati dal proclama Alexander che chiede ai partigiani di attendere un altro inverno e blocca l’avanzata alleata sulla linea Gotica. Viene attaccato tutto il vasto territorio della Repubblica partigiana. In dicembre la Val Tramontina rimane l’ultimo baluardo di quella che fu l’esperienza costituente della Zona Libera della Carnia e dell’Alto Friuli.
Mentre infuria il rastrellamento, il comando della Garibaldi “Sud” al completo è ancora a Campone.
Battisti, gravemente infortunato e con la febbre alta, è seriamente impedito nella marcia. Con Paola ed alcuni suoi compagni si rifugia a Palcoda ma qui ordina a tutti di lasciarlo e mettersi in salvo. Né Paola, né alcuni suoi compagni obbediscono e la notte del 9 dicembre il battaglione Valanga della Decima Mas, chiude l’assedio. Pochissimi ce la fanno, Paola e Battisti si tolgono la vita prima di cadere in mano ai fascisti, mentre i dieci partigiani fatti prigionieri quella notte vengono fucilati il giorno dopo lungo le mura del cimitero di Tramonti di Sotto.
Paola se n’è andata così, giovanissima, stretta al suo amore e alla sua idea di libertà, a testa alta.

Fonti:
  • https://www.partigianiosoppo.it/Eventi/il-ricordo-dei-partigiani-fucilati-a-tramonti-di-sotto-il-10-dicembre-1944-7469/
  • https://ceghe.altervista.org/orazione-in-val-tramontina/
  • Perché tutto doveva cambiare - ANPI 2022
  • https://www.straginazifasciste.it/
 
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