In fase di realizzazione
Tratto da "
I giorni della battaglia di Pradis", di
Giuliano Cescutti
A seguito della rotta di Caporetto, per limitare l’avanzata delle armate imperiali, il Regio Esercito si schieró lungo il Tagliamento con la 36^ divisione a monte e la 63^ a valle.
Esse dovevano ricongiungersi a San Francesco superando la vallata tra il Monte Pala e il Monte Dagn, per attaccare in pianura.
Le vicende iniziarono il 5 novembre del 1917.
Nei pressi di Forno vi fu un attacco da parte delle truppe nemiche, ma fu respinto dagli italiani.
Il 6 novembre, dopo quindici ore di ulteriori aspri combattimenti contro le truppe germaniche, la colonna italiana dovette cedere ed arrendersi non riuscendo a superare il Cuel d’Orton e il Monte Dagn.
La battaglia, che si svolse da Pielungo fino a Pradis, lasció più di 200 caduti italiani, sepolti a Pradis di Sopra presso il Cimitero di Guerra in Val da Ros, segno della memoria della serie di combattimenti durante la ritirata di Caporetto.
A Nord del monte Rombon, sotto cui inizava la 2° Armata italiana, era schierata il 12° Corpo d'Armata, facente parte della 4° Armata italiana: il fronte carnico era ritenuto una zona tranquilla e veniva definito come il luogo in cui era schierata una "armata della pace separata".
Il
12° Corpo d'Armata era comandata dal
generale Tassoni ed era composto da 2 Divisioni.
La 26° Divisione (gen. Battistoni) controlla il lato occidentale fino alla zona dolomitica della 4° Armata
La
36° Divisione (gen. Zampolli) difendeva le valli Aupa, Fella, Dogna e Raccolana. L'attacco di Caporetto inizia il 24 ottobre: il 26 ottobre alle ore 12 il Comando Supremo di Udine sostituisce il genrale Zampolli con il
generale Taranto e lo invia al Comando di Moggio Udinese. Il 27 ottobre Cadorna abbandona Udine.
La 36° Divisione è formata da:
- Brigata Benevento: 133° reggimento + 134° reggimento
- 15° reggimento bersaglieri
- 3 battaglioni alpini: Gemona, monte Canin, val Fella
L'attacco della 14° Armata austrotedesca nella parte più settentrionale (monte Rombon) rischia di sfondare nelle valli Uccea e val Resia e penetrare fino a Gemona e Venzone, da cui si potrebbe aprire uno sbocco nella pianura friulana, meno diretto rispetto a quello della valle del Natisone direttamente collegata a Cividale e quindi a Udine, ma in grado di isolare gran parte del 12° Corpo d'Armata schierato in Carnia.
Per arginare tale pericolo il Comando Supremo attiva la
63° Divisione, che al momento era una divisione di riserva, in riposo (dopo 20 giorni in trincea sul Volcovnyach) nella zona tra Varmo, Rivignano e Santa Maria La Longa: il 27 ottobre viene stabilito il comando a Venzone, con a capo il
generale Francesco Rocca.
E' composta da:
- Brigata Parma: 49° Reggimento e 50° Reggimento (ma il 50° Reggimento verrà ceduto al 33° Corpo d'Armata Speciale del generale Di Giorgio)
- Brigata Pistoia: 35° Reggimento e 36° Reggimento
- Gruppo alpino con 3 battaglioni: Pinerolo, monte Mercantuor, Val d'Ellero (colonnello Alliney)
Viene schierata tra Gemona a sud) e Resiutta (a nord)
Il
27 ottobre il Comando Supremo emana l'ordine di ripiegare sul Tagliamento (Cadorna abbandona Udine e sposta il comando a Treviso)
Le 2 Divisioni scendono verso valle lungo strade ingombre di civili in fuga, attraverso paesi nei quali bruciano i depositi militari abbandonati, sotto la pioggia scrosciante di quei giorni autunnali.
Sul Tagliamento in piena, i principali punti di passaggio sono il ponte di Braulins a sud all'altezza di Gemona e quello di Avons all’altezza di Tolmezzo.
Il ponte di Braulins viene interrotto alle 23.40 del
29 ottobre, il ponte di Avons viene fatto brillare verso le sei del mattino successivo.
Nella giornata di martedì
30 ottobre le due divisioni sono schierate sulla riva destra del fiume.
La 36° Divisione viene schierata nel settore fra Preone e la depressione di Mena (all’altezza di Somplago), con comando insediato nel Castello Ceconi di
Pielungo.
La 63° Divisione si dispone nel tratto più a sud, fino a Peonis, con comando ad
Alesso.
Più a valle è schierato il Corpo d’Armata Speciale del generale Antonino Di Giorgio che, costituito urgentemente con l’assegnazione delle divisioni 20° e 33°, presidia il fondamentale nodo costituito dal ponte ferroviario di Cornino e da quello stradale di Pinzano.
Da quel momento per le due divisioni si apre una fase di attesa che si rivelerà decisiva per il loro finale destino.
Il comando del 12° Corpo d’Armata, nel frattempo ritiratosi a
Maniago, è collegato telefonicamente con Castello Ceconi (Comando 63° divisione), mentre le comunicazioni con il comando della 63° divisione, posto in posizione avanzata ad Alesso, è garantito da una serie di posti di corrispondenza lungo la mulattiera della Forca Armentaria.
Sulla riva opposta del fiume, di fronte alle nostre divisioni sono schierati i reparti della
10° Armata Austro-Ungarica scesi dal fronte carnico e, nel tratto più a sud della grande curva, i germanici della
Deutsche Jäger Division. Quest’ultima è una delle divisioni messe a disposizione dalla Germania per l’attacco a Caporetto, è salita dalla stretta di Saga per penetrare in territorio italiano attraverso la val Resia ed il valico di Uccea puntando direttamente al Tagliamento.
Si attende fino alle tre della notte fra il 2 ed il
3 novembre quando al Castello Ceconi giunge la comunicazione telefonica del Capo di Stato Maggiore della 20° divisione, che informa che
gli austroungarici hanno superato il Tagliamento a Cornino e occupato Forgaria.
Dal comando del Corpo d’Armata giunge quasi contemporaneamente comunicazione telefonica che invita ad informare la 63° divisione affinchè inizi il ripiegamento: si sta concretizzando il rischio che le truppe imperiali, forzato il Tagliamento, dilaghino lungo la pedemontana determinando la chiusura di ogni sbocco verso la pianura a circa
20 mila uomini ancora schierati fra le Prealpi Carniche, il Tagliamento e montagne impervie che non consentono alcuna facilità di movimento a masse di uomini in armi.
Se quell’ordine di ripiegamento avesse avuto esecuzione, probabilmente le due divisioni si sarebbero salvate: invece, su contrordine impartito telefonicamente dallo stesso generale Tassoni, alle ore 7,00 di quella stessa giornata, ogni movimento viene sospeso.
Appena ricevuta tale comunicazione, il collegamento telefonico con il Corpo d’Armata si interrompe.
Da quel momento le due divisioni sono isolate, senza ordini, mentre il nemico avanza lungo la pedemontana.
Trascorrono ancora più di 24 ore finchè le due divisioni, su decisione assunta autonomamente dai propri comandanti, a metà giornata del
4 novembre iniziano il ripiegamento abbandonando le posizioni lungo il Tagliamento.
La discesa in Val d’Arzino
La val d’Arzino è separata dalla valle del Tagliamento dalla catena che parte a sud dai monti Cuar e Flagjel, quindi si eleva alle vette del Piombada e del Verzegnis. Migliaia di uomini con automezzi, animali e artiglierie, per confluire nella stretta valle delle Prealpi, devono transitare attraverso gli unici quattro passaggi all’epoca praticabili.
- Lungo la valle di Preone (da Preone)
- Attraverso la strada carrozzabile della Sella Chianzutan (da Verzegnis)
- Seguendo la mulattiera della Forca Armentaria (da Alesso)
- Ai piedi del monte Cuar, percorrendo la mulattiera che sale al Cuel di Forchia (da Avasinis).
Lungo questi quattro itinerari, nel pomeriggio del 4 e durante la notte, si muovono le due divisioni.
Il generale Rocca (63° Divisione) percorre la mulattiera dell’Armentaria e giunge a San Francesco alle ore 23 del
4 novembre. Al suo arrivo si incontra immediatamente con il collega divisionario generale Taranto (36° Divisione) che nel frattempo ha ricevuto gli ultimi ordini emanati dal Corpo d’Armata.
Dalla lettura di quegli ordini si comprende che nella visione del Comando Supremo
le due divisioni devono puntare verso sud, in direzione di Clauzetto, raggiungere la pianura all’altezza di Travesio, precedere il nemico o sbaragliarlo e quindi prendere la via verso il Piave.
Ma proprio mentre i due generali prendono visione degli ordini del Corpo d’Armata, la situazione lungo la pedemontana è già tale da
determinare di fatto l’isolamento della piccola armata che si sta concentrando in val d’Arzino: gli
imperiali hanno occupato Travesio alle 13 del 4 novembre e in serata hanno raggiunto Meduno e al Bivio d’Agnul (presso Pitagora) stanno tentando di forzare l’ultima resistenza italiana che chiude la via verso la risalita della Val Meduna.
Attorno alle 8 del
5 novembre si svolge nell’osteria di San Francesco il rapporto ufficiali nel quale il generale Rocca, che per anzianità ha assunto il comando di entrambe le divisioni, comunica ai comandanti di brigata e di reggimento dipendenti le disposizioni per la continuazione della ritirata.
Il grosso delle due divisioni deve
incolonnarsi in direzione di Clauzetto, attraverso Pielungo e il Bivio Orton a Pradis di Sopra, percorrendo la strada carrozzabile corrispondente all’attuale provinciale, all’epoca appena completata e neppure riportata dalle poche carte topografiche disponibili ai militari impegnati fra le Prealpi Carniche.
La brigata «Benevento», con le impedimenta, avrebbe invece preso la mulattiera del Canale di Cuna per dirigersi verso Tramonti, itinerario che qualcuno suggeriva dovesse essere preso anche dal resto delle due divisioni, presagendo che le possibilità di salvezza, puntando verso sud, fossero limitate.
A copertura del movimento della colonna il 35° reggimento fanteria sarebbe rimasto a San Francesco mentre l’imbocco meridionale della valle era coperto dai quattro battaglioni alpini del colonnello Alliney che stavano ancora affluendo dalla valle del Tagliamento.
Mentre a San Francesco il generale Rocca sta impartendo queste disposizioni, a Pielungo le nostre truppe vengono sorprese dalle avanguardie tedesche.
Lo scontro di Pielungo
Quella mattina del
5 novembre, Pielungo è presidiata da pochi uomini di milizia territoriale, lungo la strada sono in transito due batterie pesanti campali e nel tratto fra il bivio per Cedolins e la piazza del paese sta salendo la colonna del 36° gruppo di artiglieria da campagna. Complessivamente 4 batterie su 10 pezzi da 75/1911 e 6 pezzi da 87B. Sono circa le 8 quando
dal versante verso Cedolins, a est del paese, un intenso fuoco di mitragliatrici inizia a colpire verso la piazza e sulla colonna di artiglieria in movimento.
A sparare sono i
germanici della 2° compagnia del Garde Reserve Jäger Btln, non più di trecento uomini che hanno percorso, dopo il passaggio del Tagliamento sul riattivato ponte di Cornino con tutta la Deutsche Jäger Division, l’itinerario a nord del Monte Pala. Probabilmente hanno trascorso la notte a Fruinz e di buon mattino sono ripartiti alla volta di Pielungo.
La sorpresa sugli artiglieri e sulle poche truppe presenti a Pielungo è totale.
Dopo una eroica resistenza gli italiani devono ritirarsi verso il Castello Ceconi lasciando la piazza in mano ai tedeschi.
La notizia che i tedeschi hanno preso Pielungo arriva subito a San Francesco: o si libera il passaggio o l’itinerario verso la pianura è precluso.
Il proibitivo attacco ai tedeschi appostati sulla piazza del paese, fra le mura del cimitero e perfino sul campanile, viene affidato agli alpini del «Gemona» e del «Monte Canin».
Mentre un nucleo di cavalleggeri di Alessandria e di bersaglieri ciclisti combatte anche nella zona dell’attuale bivio sulla strada Regina Margherita ad arginare il tentativo di discesa degli Jäger, il battaglione «Monte Canin» lancia le proprie compagnie 97° e 154° lungo lo scosceso versante sotto il cimitero, mentre le compagnie 69° e 70° del «Gemona» attaccano sul pendio a est della piazza.
Verso le 13, con uno sforzo che si può immaginare solo prendendo visione dei luoghi,
gli alpini riescono ad impadronirsi nuovamente del paese.
Concluso il combattimento, da Pielungo prosegue il movimento verso sud.
Mentre due compagnie alpine del battaglione «Gemona» (la 71° e l° complementare) vengono inviate in direzione del Monte Pala, a copertura dei movimenti di fondovalle, il grosso delle due divisioni punta ancora su Clauzetto. Dalla piazza di Pielungo vengono presi due itinerari: l’avanguardia imbocca la mulattiera che si inerpica diretta verso Sompielungo e quindi discende verso Forno, il grosso delle truppe si incolonna sulla strada carrozzabile che, con più lieve pendenza e numerosi tornanti, raggiunge la stessa località.
Lo scontro di Forno
Mentre le due colonne si muovono da Pielungo,
i tedeschi sono già arrivati a Forno percorrendo l’itinerario attraverso Vito d’Asio e Clauzetto.
Questa volta si tratta di
un intero battaglione, il Garde Reserve Jäger Battaillon, al comando del maggiore Konrad von Stülpnagel.
Il primo ad incontrare gli imperiali è un civile, Antonio Marin (1856-1948). Abitante a Forno, assessore comunale, il Marin rientra a casa precedendo l’avanguardia lungo la mulattiera di Sompielungo. Scendendo ad attraversare l’attuale strada provinciale vi trova due ufficiali tedeschi che gli chiedono se lungo il suo percorso abbia incontrato soldati italiani. Pare che i due si siano accontentati di una risposta negativa lasciando proseguire il Marin verso casa.
Il combattimento si accende subito dopo,
la testa dell’avanguardia che si è fermata a riprendere fiato in prossimità della cappelletta di Sompielungo si accorge dei tedeschi e si lancia immediatamente all’attacco lungo la discesa.
Di quei momenti fu testimone un aspirante ufficiale alpino di San Daniele: «La testimonianza più eccezionale riconducibile allo svolgimento del combattimento di Forno e alla partecipazione degli alpini del Gemona è quella dell’aspirante Giordano Vidoni da San Daniele. Questi comandava in quei giorni il 1° plotone della 70° compagnia. Era giunto nel corso della precedente estate al battaglione direttamente dalla scuola di applicazione di Modena e aveva prestato servizio di prima linea nei mesi precedenti all’ottobre 1917 in alta Val Dogna, sulla forcella di Cjanalot. Di questo ufficiale, anche se sappiamo che è stato catturato il successivo giorno 9 nei pressi di Selis con gli ultimi fuggiaschi della colonna Rocca ed internato nel campo di prigionia di Braunau, non abbiamo reperito negli archivi la relativa relazione. Il Vidoni, redasse però un diario che fu recuperato dal Generale Adriano Gransinigh che nel suo volume “Guerra sulle Alpi Carniche e Giulie” pubblicato nel 1994, riportò il seguente passaggio relativo allo scontro di Forno:
“
Quando la testa della colonna arrivò nella parte più alta della mulattiera, siamo stati noi alpini a scontrarci. Ricordo, nei minimi particolari, come alle prime fucilate gli alpini della 70°, sorpresi da tale attacco, si siano gettati a terra sulla mulattiera, riparandosi dietro i muretti a secco. Di fronte a noi vi era un bosco rado in forte discesa verso la strada carrozzabile che unisce Pielungo a Clauzetto. Vicino a me era il sottotenente Cravero di Asti, un bel ufficiale piemontese pieno di ardire. Accortosi questi che i tedeschi salivano in ordine sparso nel bosco riparati dietro i loro enormi zaini, si è alzato in piedi (eravamo anche noi ufficiali armati di moschetto) e dopo aver sparato contro il tedesco che era giunto a poca distanza, gridò “Avanti Alpini” e si slanciò oltre il muretto a secco. Tutti gli alpini lo seguirono e la pattuglia avanzata tedesca , sorpresa dal nostro scatto, si mise in fuga verso la strada carrozzabile e la frazione di Forno che era lontana circa 200 metri. Qualche tedesco cadde; ne ricordo benissimo uno vestito con calzoni di cuoio, con una tenuta perfetta, caduto nel ruscello vicino alla strada. Passata la strada vedemmo davanti a noi una collina senza alberi e non scorgemmo alcun nemico. La pattuglia avanzata si era ritirata oltre il ciglio della collina e nelle case di Forno e oltre la stretta. A sinistra vi sono le rupi del Monte Rossa (in realtà le rupi sono a destra rispetto a chi scendeva dalla mulattiera, è più probabile che Vidoni faccia riferimento alla collina sopra le case di Forno che effettivamente si trova sulla sinistra) e da qui continuava a sparare con raffiche di mitragliatrici (erano le prime mitragliatrici leggere). Qualcuno dei nostri cadde durante l’avanzata; io seguivo da vicino Cravero che si dirigeva verso la cappelletta che si trova sulla stretta. Vicino a tale cappelletta Cravero cadde colpito all’addome. Qui Cravero accortosi della gravità della ferita mi disse: “Muoio, muoio, ma son stato bravo con i miei alpini!” Mi spostai dalla cappelletta e soltanto allora ho cominciato a veder scendere dalla mulattiera altri soldati di fanteria e sulla nostra sinistra sui roccioni arrivavano successivamente degli alpini che ritengo fossero del battaglione Monte Canin (ho visto lassù anche un alpino di S. Daniele, Meni Jervasutti). L’azione continuò a svolgersi fino all’imbrunire, fino a quando i tedeschi, inseguiti dagli alpini della 70°, si ritirarono dalla posizione avanzata”».
La testimonianza è davvero notevole per precisione, e risulta decisiva per la ricostruzione dello scontro di Forno.
Giordano Vidoni ci ha lasciato anche alcune immagini fotografiche dei luoghi dello scontro: appassionato di fotografia, nell’inverno 1919/20, rientrato alla prigionia risalì la Val d’Arzino e arrivò fino a Forno dove scattò alcune foto sui luoghi dello scontro.
La prima è relativa al cimitero provvisorio realizzato nei pressi del tabernacolo di Sompielungo, alla sommità della salita da Pielungo percorsa dalla testa dell’avanguardia, la seconda rappresenta la cappelletta di Forno, con l’annotazione di pugno del Vidoni che riferisce che in quel punto cadde il sottotenente Giovanni Battista Cravero di Asti, due ulteriori rappresentano il cimitero che i tedeschi vennero a realizzare nel mese di settembre 1918 sul colle di Forno ed un’ultima, panoramica, presa in direzione del monte Dagn e della selletta di Val da Ros.
Sono documenti unici, che seppure relativi ad un paesaggio innevato, danno un’idea precisa di come si presentava il campo di battaglia di quelle due giornate: molto diverso rispetto ad oggi soprattutto per quanto riguarda la copertura boschiva di terreni che comunque erano in larga misura destinati a prati e pascoli, ad eccezione di quelle zone più accidentate per la presenza di rocce affioranti che lasciavano invece spazio al bosco.
Queste foto sono giunte fino a noi per caso, salvate da un autista nel momento in cui le stava trasportando alla discarica per conto dell’impresa che a San Daniele svuotava la casa di Giordano Vidoni per iniziare i lavori di ristrutturazione.
Il primo attacco a Forno viene quindi lanciato dagli alpini della 70° compagnia. A dare man forte agli alpini giungono quindi i fanti del 36° reggimento, 1° e 2° battaglione, e la 56a batteria da montagna.
Il combattimento si sviluppa nel tratto compreso fra la cappelletta di Forno e le case della borgata che, a quanto mi raccontò Giovanni Colledani (1947-2012) per averlo a sua volta sentito raccontare dalla figlia di Antonio Marin, Pasqua (1888-1971), passarono di mano fra italiani e tedeschi per ben otto volte.
Dopo successivi attacchi e contrattacchi, gli italiani al grido di «Savoia!», i tedeschi al grido di «Hurrah!», il combattimento si esaurisce verso l’imbrunire quando una pattuglia di ufficiali, portandosi in avanscoperta, si accorge che il nemico si è ritirato.
Vedendo scendere la notte, valutato il rischio di subire l’iniziativa italiana avendo alle spalle la profonda forra del torrente Foce che rende impossibile ogni arretramento, gli jäger se ne sono andati.
Hanno lasciato morti sul terreno il comandante di battaglione, 4 ufficiali e 40 jäger, mentre sono rimasti feriti un ufficiale e altri 60 jäger
Numeri che confermano quanto l’attacco italiano sia stato deciso e veemente.
Truppe che si ritirano da dieci giorni ma non hanno ancora perso il proprio spirito combattivo.
Su Forno scende la notte: la stanchezza degli uomini e la non conoscenza del terreno fanno propendere il colonnello brigadiere Aurelio Petracchi, comandante della brigata «Parma», per un arresto dell’avanzata.
I due battaglioni del 36° fanteria si schierano nel tratto fra le case della borgata e la stretta, mentre la colonna che sale da Pielungo rimane in attesa lungo la strada carrozzabile, in testa il 49° reggimento fanteria, dietro sono gli alpini del Val Fella.
Nel buio di quella notte i fanti del 36° hanno davanti a loro il terreno che all’indomani sarà teatro dell’ultimo atto di quella odissea: sulla sinistra il monte Pala, quindi il Cuel d’Orton e ancora più a destra il tratto meno elevato dell’anfiteatro che, partendo dal bivio Orton, passa attraverso la borgata Tascans e quindi raggiunge la selletta di Val da Ros, sopra l’attuale cimitero di guerra, per poi risalire il monte Dagn.
Per superare quella linea bisogna scendere verso il fondovalle del Rio di Molin e quindi risalire, contro un nemico appostato in posizione dominante, dotato di armi e tecniche di combattimento superiori a quelle italiane, galvanizzato da giornate vittoriose.
L’avanzata verso Pradis e la morte del maggiore Frajria
Poco prima delle 22 di quella sera del
5 novembre, a Forno giunge il generale Rocca, in automobile.
Ordina che il movimento verso Pradis sia ripreso immediatamente, per non perdere il contatto con il nemico.
Il colonnello Zampieri, comandante del 49° reggimento fanteria, si occupa personalmente di svegliare gli uomini: il suo reggimento è subito in marcia sulla strada, supera la linea del 36° e inizia la discesa verso il canale di Foce. Dalla stretta di Forno al ponte stradale che supera la profonda forra, localmente conosciuto come
puint di Spissul, sono circa 700 metri.
La marcia nella notte viene ben presto interrotta poiché il ponte è stato fatto brillare, probabilmente da reparti italiani in ripiegamento, nella mattinata di quella stessa giornata.
L’interruzione di una via che sarebbe stata indispensabile per il ripiegamento del grosso di due divisioni con automezzi, artiglierie e animali, è una chiara conferma del caos che regna nella zona.
È necessario trovare una via alternativa e, grazie alla presenza fra le file dei battaglioni alpini di militari originari delle borgate della valle, viene immediatamente individuato il percorso della mulattiera che, fino alla recentissima realizzazione della strada carrozzabile, rappresentava il principale collegamento fra Forno e Pradis.
La colonna viene avviata lungo quell’itinerario che supera prima il
Rio di Salaries e quindi il
Rio di Molino, da dove inizia la risalita verso il costone di Pradis.
È il generale Rocca in persona a condurre quell’avanguardia che vede incolonnati il 3°ed il 2° battaglione del 49° fanteria, seguiti dagli alpini del «Val Fella».
Appena iniziata la salita, in corrispondenza della biforcazione della mulattiera, l’avanguardia viene colpita dal fuoco dei tedeschi appostati nei boschi e fra le rocce sulla sinistra.
A lanciare l’attacco verso sinistra è il 3° battaglione che, nel buio, esce sul terreno scoperto condotto dal proprio comandante, il maggiore Sisto Frajria, subito colpito mortalmente.
Caduto il maggiore Frajria, mentre il suo battaglione stenta ad avanzare in direzione di Tascans, il 2° battaglione, al comando del maggiore Francesco Morelli, avanza sulla destra raggiungendo la borgata
Fumatins e da qui lancia la sua 6° compagnia all’attacco delle
stalle Surîs, dove è appostato un forte nucleo tedesco che impedisce ogni progresso anche ai fanti che avanzano sulla sinistra.
Scalzati i tedeschi da quella posizione decisiva, il battaglione «Morelli» alle 3.10 dieci della notte raggiunge la
selletta di Val Da Ros, occupando il tratto di linea in corrispondenza dell’attuale capanna alpina.
Sulla sinistra il 3° battaglione, nel frattempo assegnato al comando del capitano Vincenzo Pollio, avanza nel bosco facendosi strada fra i nuclei di mitraglieri tedeschi, puntando sulla borgata Tascans, riuscendo a raggiungere posizioni avanzate lungo la mulattiera, fino all’altezza delle
Stalle Cordi.
La giornata di Pradis.
Il generale Rocca, dopo la puntata notturna alla testa dei battaglioni del 49°, si è ritirato a Forno dove, secondo la memoria popolare, avrebbe riposato per alcune ore nella casa di Antonio Marin.
Alle 6 del mattino è già in cammino verso la prima linea per constatare di persona la situazione delle truppe.
Ispeziona il settore di sinistra e si rende conto che
la stanchezza dei militari schierati e la forte resistenza tedesca non consentono più di ipotizzare uno sfondamento verso Clauzetto ed il raggiungimento della pianura.
Alle 7.35, in un carro ambulanza posizionato lungo la strada a valle dell’attuale cimitero di guerra scrive l’ordine, da consegnare al generale Taranto, rimasto a Forno, che dispone la
concentrazione degli sforzi in direzione di Campone.
Le due divisioni avrebbero quindi dovuto puntare alla
selletta di Val da Ros e proseguire alla base del
monte Taiet per raggiungere la Val Meduna.
Nel frattempo da Forno stanno affluendo verso la prima linea i battaglioni del 36° reggimento fanteria, seguiti dalle truppe del colonnello Alfredo Cantoni.
L’alba del
6 novembre 1917 vede la linea conquistata durante la notte tenuta ancora saldamente dagli italiani: sulla destra, in corrispondenza della selletta e della colletta di Val Da Ros, è schierato il 2° battaglione del 49° fanteria, al centro della linea, nella zona sopra l’attuale cimitero di guerra, le compagnie del 3° battaglione. All’estrema sinistra la 5° compagnia del 49° costituisce la punta più avanzata avendo raggiunto il Cuel da l’An, sopra il Bivio Orton.
Verso le 8.30 i tedeschi lanciano sull’estrema destra un attacco che punta contro la selletta (la zona dell’attuale capanna alpina) e da posizioni elevate aprono un violento tiro di mitragliatrici. Gli Jäger sono saliti lungo le scoscese pendici del monte Dagn e da quelle posizioni dominano il terreno sul quale si sviluppa la linea italiana.
L’intensità del tiro fa subito vacillare e poi cedere lo schieramento dei fanti del 49° in corrispondenza della selletta.
Dalle relazioni degli ufficiali presenti ricaviamo scene di soldati che fuggono, di altri che sventolano i fazzoletti bianchi, di altri ancora che si consegnano ai tedeschi che compaiono sul ciglio della selletta, di un cavaliere che avanza all’interno dello schieramento italiano.
La situazione è drammatica, il 49°reggimento si ritira, il 36° che sta arrivando non riesce ad avanzare. A ristabilire le sorti sono chiamati gli alpini del battaglione «Val Fella», al comando del maggiore Giuseppe Urbanis.
Il contrattacco degli alpini riesce a contenere i tedeschi ma la nuova linea deve essere arretrata di circa 150 metri, all’incirca in corrispondenza della zona boschiva che si trova alle spalle dell’attuale cimitero di guerra.
A metà mattinata il combattimento si conclude.
Gli italiani, stanchi e con poche armi e munizioni, non sono più in grado di attaccare, i tedeschi attendono gli eventi, nella certezza che da nord stiano scendendo gli austroungarici della 10a armata.
Mentre tutto questo accade, il generale Rocca fa ritorno a Forno non trovandovi più il generale Taranto che, travisando gli ordini del suo superiore, con il grosso delle truppe si è ritirato verso Pielungo e ha imboccato la mulattiera che risale il versante nord del monte Taiet.
Nella zona della cappelletta di Forno sono rimasti il 15° reggimento bersaglieri del colonnello Dompè, gli alpini del battaglione Val d’Ellero con il capitano Nussi, la 116a compagnia mitraglieri con il colonnello Cavarzerani.
Se Rocca pensava di far avanzare il grosso in direzione di Campone lungo il versante sud del monte, il fraintendimento con l’altro divisionario, ma soprattutto la nuova situazione sul costone di Pradis, rendono ormai possibile solo il ripiegamento verso Forno.
L’ordine di ripiegamento viene diramato da Forno alle 11 del 6 novembre, diretto alle truppe rimaste nella conca di San Francesco e a quelle dell’avanguardia, al comando del brigadiere Petracchi.
Per l’avanguardia, disimpegnarsi e raggiungere Forno sotto la pressione nemica appare da subito operazione con poche speranze.
Il movimento, su tre successivi scaglioni, ha inizio verso le 14.30.
Fanti e alpini scendono verso il fondo valle, a raggiungere il ponte sul Rio di Molin, ma sono colti sul fianco dalle truppe tedesche che nel frattempo hanno percorso l’itinerario dietro il monte Dagn, attraverso il Cuel da la Siere, presentandosi a tagliare la via agli italiani.
Verso le 16
il destino dell’avanguardia si compie: in fondo alla valle che separa Forno dal costone di Pradis cadono prigionieri tutti i reparti che avevano combattuto per oltre 15 ore.
Il generale Rocca assiste a quelle scene dalla cappelletta di Forno, prima prende il sentiero che sale in direzione della malga Iovet, poi torna indietro, poi
riprende definitivamente la salita con il gruppo che, assottigliandosi progressivamente, lo seguirà ancora per tre giorni fino al combattimento finale di Selis, in Alta Val Meduna.
Mentre si compie il destino dell’avanguardia, a poche centinaia di metri, sul Cuel d’Orton, sono ancora schierati gli alpini del battaglione «Pinerolo», al comando del tenente colonnello Giovanni Bodino.
Fin dal primo mattino hanno risalito il versante delle borgate Zattes e Mineres raggiungendo quasi la sommità del colle e arrivando quasi a superare la resistenza tedesca.
Da quella posizione elevata assistono ai movimenti dell’avanguardia e, al calare della sera, con una «manovra prodigiosa», riescono a sganciarsi e, percorrendo un terreno ormai in mano al nemico, a raggiungere Pielungo e a prendere la via a nord del monte Taiet.
Sul terreno di Pradis rimangono decine di caduti e feriti italiani.
Nel cimitero di Pradis è ancora oggi presente una lapide che riporta i nomi di 12 di quei caduti e le relative località di origine.
Tentai di contattare quei comuni per verificare la possibilità di entrare in contatto con i discendenti dei caduti, ma il risultato fu deludente, ad ulteriore conferma che il filo della memoria è ormai molto sottile.
Gli ultimi testimoni
Ebbi però la fortuna di ascoltare la narrazione di quei giorni dalla viva voce di alcune persone che li avevano vissuti personalmente.
Quei racconti furono molto utili per completare il quadro di una ricostruzione frutto di fonti storiche diverse.
A partire dal racconto di mia nonna, Orsola Aramini-Ronzat (1907-1999), bimba di 10 anni che abitava nella borgata Zattes, alle pendici del Cuel d’Orton, che mi raccontò, fra l’altro: «
All’imbrunire di una giornata di novembre, il tempo era stato bello, le case dei Zattes furono invase da soldati che parlavano tedesco, ricordo parole come “Ja” e “Gott”. Tutta la gente della borgata fu raccolta nella casa che noi chiamiamo da la Todescje, in riferimento ad una donna tedesca che aveva sposato un nostro vicino. Sul camino della casa fu esposto un lenzuolo bianco, le mie sorelle piangevano e uno dei soldati allungò alla più grande un ceffone, mentre la padrona di casa si adoperava a fare da interprete fra i soldati e i civili. Sulla finestra della casa di mio padre i tedeschi appostarono una mitragliatrice e da qui sparavano contro gli italiani che salivano verso il Cuel d’Orton».
Conclusa la battaglia, Orsola fu chiamata ad aiutare nel lavoro di sepoltura dei caduti, che per molti giorni rimasero abbandonati sul terreno. Di quei caduti, Matilde Galante (1909-2006), all’epoca abitante della borgata Tascans, mi riportò questo ricordo: «
Qualche giorno dopo il combattimento un uomo della borgata mi accompagnò, assieme ad altri , sulla Val da Ros, dove ho potuto vedere , sul piano appena sotto il rifugio, i caduti italiani, allineati, tutti con la testa rivolta verso Forno».
A una fra le testimonianze raccolte è ancora oggi legato il filo della memoria di quegli avvenimenti che stiamo per ricordare nella ricorrenza del centenario della Grande Guerra.
Amalia Toneatti è nata nel settembre del 1911, all’epoca era vicina di casa di Orsola Aramini Ronzat, oggi vive a Sequals ed il suo racconto ci rivela altri momenti di quei tragici giorni:
«
Dopo la battaglia un caduto italiano rimase per giorni nella mulattiera fra i Zattes e i Mineres, coperto con un telo, vicino alla casa Blarasin. Noi bambini eravamo tenuti lontani da quel posto. Poi i morti furono raccolti nel cimitero sul Cuel d’Orton, dove venne realizzato anche un altare in pietra sul quale il 4 novembre si celebrava la messa fino a quando i caduti, durante l’estate e in molti casi alla presenza dei famigliari che riportarono i resti ai propri paesi, furono riesumati e riuniti agli altri nel cimitero della Val da Ros. Noi bambini non potevamo andare sul Cuel d’Orton ma ricordo ancora i soldati italiani sudati e stanchi che scavavano sotto il sole. Per un certo periodo dopo i giorni di combattimento, vennero a cenare a casa nostra due soldati italiani, graduati, fuggiaschi che durante il giorno si nascondevano ai tedeschi che battevano la zona alla ricerca degli sbandati. Ricordo che questi due si chiamavano Salvatore e Pecher, poi furono catturati e andarono prigionieri. Salvatore tornò a trovarci dopo la guerra e ci disse che il suo compagno era morto durante la prigionia. Durante l’occupazione mio padre, che si adattava a fare un po’ di tutto e aveva anche la forgia, veniva spesso chiamato dai tedeschi a fare delle riparazioni.»
Qualcosa rimane quindi anche della memoria vivente, forse non per molto tempo ancora.
Rimangono e rimarranno invece i luoghi che furono teatro di quegli avvenimenti.
Luoghi di grande bellezza, da riscoprire anche attraverso le storie degli uomini che qui si trovarono a combattere nell’autunno del 1917.
NOTE
1) Ad Antonio Marin di Forno faranno ricorso, quale testimone dei fatti, sia Sebastiano Murari che Giuseppe Del Bianco. A Sebastiano Murari Antonio Marin fece dono dell’originale dell’ultimo ordine inviato da Forno dal generale Rocca alle ore 15.25 del 6 novembre 1917, rinvenuto sul campo di battaglia.
2) G.CESCUTTI, P.GASPARI , Generali senza manovra - la battaglia di Pradis nel racconto degli ufficiali combattenti Gaspari Editore, Udine 2007,., pp.129-132.
3) ivi, p.137.
4) S. MURARI, Un episodio di guerra nelle Prealpi Carniche, Casa Editrice A.Mondadori, Milano 1935, p.170.
5) G.CESCUTTI, P.GASPARI, Op.cit., p.181. La manovra di disimpegno viene definita come «prodigiosa» dal cappellano del battaglione Pinerolo, don Francesco Zavattaro.
6) ivi, p.174. Raccolsi l’intervista nel luglio del 1986.
7) ivi, p.264. Raccolsi l’intervista nel luglio del 1999.
8) ivi, pp.376-377. Raccolsi l’intervista il 6 ottobre 2007.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
AA.VV., Enciclopedia militare – Arte biografia geografia storia tecnica militare, Istituto Editoriale Scientifico S.A., Milano 1933
CESCUTTI G., Val da Ros 1917- La battaglia di Pradis, Comune di Clauzetto 1999
CESCUTTI G., GASPARI P., Generali senza manovra – La battaglia di Pradis di Clauzetto nel racconto degli ufficiali combattenti, Gaspari Editore, Udine 2007
DEL BIANCO G., La guerra e il Friuli, Vol.4°, Del Bianco Editore, Udine 1958
GRANSINIGH A., Guerra sulle Alpi Carniche e Giulie (La Zona Carnia nella Grande Guerra), Libreria Editrice Aquileia, Tolmezzo 1994
MURARI S., Un episodio di guerra nelle Prealpi Carniche, A.Mondatori, Milano 1935
ROCCA F., Vicende di guerra, Carpigiani & Zipoli, Firenze 1926